Uno studio rivela perché le normative sull'inquinamento luminoso non funzionano

2025-03-15

Uno studio rivela perché anche le severe normative sull'inquinamento luminoso non funzionano

In teoria, affrontare l'inquinamento luminoso non sembra difficile. A differenza delle emissioni di carbonio o dei rifiuti industriali, le luci elettriche sono controllabili e regolabili, consentendo a città e aziende di attenuarle a proprio piacimento. Eppure, nonostante le prove schiaccianti che un'illuminazione eccessiva danneggi la salute umana, la fauna selvatica e persino la rete elettrica nazionale, una regolamentazione efficace rimane frammentata, incoerente e in molti casi assente.

Uno studio recente, "Light Pollution Control: A Comparative Analysis of Regulations in Civil and Common Law Jurisdictions", rivela una netta contraddizione nel modo in cui le città di tutto il mondo affrontano l'inquinamento luminoso. Shanghai e Seul, ad esempio, hanno imposto limiti rigorosi alla luminosità, alle ore di utilizzo e allo spettro cromatico dei cartelloni pubblicitari a LED. Ma Londra e New York si basano su leggi anti-inquinamento emanate anni fa, che attribuiscono l'onere della prova a chi soffre di un'eccessiva esposizione alla luce elettrica.

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Al centro di questo dibattito c'è un paradosso: anche le politiche più radicali sull'inquinamento luminoso potrebbero non risolvere il problema. Dopo che Seul ha promulgato la sua legge sull'inquinamento luminoso nel 2010, le denunce sono diminuite drasticamente, per poi riprendersi solo pochi anni dopo.

Uno sguardo più attento rivela che le aziende obbligate a oscurare le proprie vetrine spesso trovano nuovi modi per aggirare le restrizioni. E mentre Shanghai, spesso considerata leader nella regolamentazione dell'inquinamento luminoso, ha un limite rigoroso di 5 lux in alcune aree, la ricerca mostra che anche questo livello di luce "controllato" è significativamente superiore all'ottimale biologico per i cicli del sonno e gli ecosistemi notturni.

È preoccupante che la regolamentazione dell'illuminazione, se esiste, sia spesso in ritardo rispetto agli sviluppi scientifici. Molte normative utilizzano la luminosità come parametro di controllo primario, ma la ricerca dimostra che lo spettro è altrettanto importante, se non più critico. A Shanghai, ad esempio, la luce blu sui cartelloni pubblicitari digitali è limitata al 17% della luminosità consentita per i LED verdi, data la sua grave interruzione dei ritmi circadiani di esseri umani e animali. Ma nella maggior parte delle città, il controllo dello spettro non è nemmeno previsto dalla normativa.

Efficacia delle politiche – o mancanza di essa

Lo studio evidenzia anche l'impatto del quadro giuridico sull'applicabilità delle normative sull'inquinamento luminoso. Le giurisdizioni di diritto civile, come Shanghai e Seul, tendono a introdurre una legislazione specifica, basata su indicatori, che consente agli enti regolatori di stabilire limiti chiari alla luminosità, alle ore di utilizzo e persino ai programmi di manutenzione per le lampade da esterno.

Al contrario, le giurisdizioni di common law tendono ad affidarsi a normative "aggiuntive" più flessibili ma meno stringenti, collegate a leggi ambientali o di tutela ambientale più ampie. Di conseguenza, a Londra, le luci elettriche sono legalmente considerate un "fattore di disturbo" piuttosto che un inquinante, il che rende l'applicazione delle norme per lo più passiva. Le autorità di regolamentazione intervengono solo quando qualcuno può dimostrare che un'illuminazione eccessiva causa danni evidenti, come la perdita di sonno e il deprezzamento del valore immobiliare.

Anche quando esistono leggi in materia, spesso presentano scappatoie che consentono alle luci a LED su pali di "aggirarsi". La città di La Valletta, a Malta, ha una delle normative più severe in Europa sul controllo della temperatura di colore dell'illuminazione, limitando l'illuminazione esterna a 3000 K per ridurre l'impatto della luce blu. Tuttavia, la legge esenta i cartelloni pubblicitari e gli edifici governativi, due delle fonti più comuni di eccessiva illuminazione notturna. Allo stesso modo, l'ordinanza sull'inquinamento luminoso di New York si applica solo alle proprietà statali, lasciando agli sviluppatori privati ​​la libertà di installare illuminazione esterna a LED ad alta intensità con scarsa supervisione.

Dati che fanno riflettere

Oltre alla consueta discussione sul bagliore del cielo e sui disturbi del sonno, lo studio rivela dati più precisi e allarmanti sugli impatti reali delle luci elettriche incontrollate:

A livello globale, l'area illuminata dall'elettricità si sta espandendo a un tasso del 2,2% all'anno. I dati satellitari mostrano che le emissioni luminose globali sono cresciute del 49% tra il 1992 e il 2017. Questa cifra non include l'illuminazione a LED ricca di luce blu, difficile da rilevare via satellite e che si stima abbia aumentato la radiazione globale del 270%.

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A Hong Kong, il cielo notturno è ora oltre 1.200 volte più luminoso dei livelli naturali, superando di gran lunga gli standard stabiliti dall'Unione Astronomica Internazionale.

Uno studio austriaco ha collegato l'inquinamento luminoso a travagli più lunghi e a un aumento dei tassi di parti prematuri, suggerendo che il problema va oltre il sonno disturbato e riguarda i processi biologici sottostanti.

Nelle zone più inquinate di Shanghai, le finestre delle abitazioni devono essere illuminate a non più di zero lux, il che significa che nessuna luce elettrica dovrebbe penetrare nella stanza. Eppure, anche in queste zone, i livelli di luce ambientale sono spesso 100 volte superiori a quelli della luce naturale.

Lo studio solleva anche un punto degno di nota sulla resistenza economica e culturale alla regolamentazione. Le aree con PIL e densità di popolazione più elevati tendono ad avere problemi di inquinamento luminoso più gravi, e questo non è dovuto solo allo sviluppo urbano. Anche percezioni sociali più profonde giocano un ruolo importante, collegando la luminosità all'attività economica, alla sicurezza e alla reputazione di una città. Questo potrebbe spiegare perché alcune delle città con le normative più severe siano anche quelle con le peggiori violazioni in materia di inquinamento luminoso.

Dove andare da qui?

Sebbene lo studio non offra una soluzione univoca all'inquinamento luminoso, individua alcuni problemi chiave che devono essere affrontati.

In primo luogo, la maggior parte delle città non ha ancora una chiara definizione legale di illuminazione necessaria ed eccessiva. Mentre Shanghai e Seul hanno compiuto alcuni progressi nella definizione di limiti rigidi, la maggior parte delle altre giurisdizioni rimane reattiva, occupandosi dei reclami anziché sviluppare proattivamente politiche di illuminazione urbana.

In secondo luogo, le autorità di regolamentazione stanno misurando parametri errati. Molte leggi si concentrano sulla riduzione della luminosità, ma non affrontano questioni come la composizione spettrale, il controllo temporale e l'esposizione cumulativa. Le normative future dovrebbero dare priorità alla regolazione spettrale, limitando l'illuminazione ricca di blu a favore di toni più caldi e meno dannosi per la salute.

Infine, l'applicazione rimane la sfida più grande. Non ha senso avere normative se aziende e comuni possono facilmente ignorarle. Persino a Seul, dove le normative sono severe, il fatto che le denunce per inquinamento luminoso siano aumentate significativamente pochi anni dopo l'entrata in vigore della legge suggerisce che l'applicazione sia altamente imprevedibile.

In definitiva, la lotta all'inquinamento luminoso non riguarda solo i livelli di lumen o lux, ma la capacità delle città moderne di ripensare il proprio approccio all'illuminazione per bilanciare la necessità di illuminazione con la responsabilità. Al momento, la maggior parte delle città sta ancora seguendo la strada sbagliata.

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